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La parola ai giurati, Recensione su Almanacco Cinema

La parola ai giurati: 100 anni fa nasceva Sidney Lumet

Oggi Sidney Lumet avrebbe compiuto 100 anni. La pellicola che lo ha consacrato nella storia del cinema, il suo film d’esordio, La parola ai giurati.

Sidney Lumet, un ritratto

Sidney Lumet nasce a Filadelfia il 25 giugno 1924, ma cresce a Manhattan. Papà attore e mamma ballerina, sin da subito prende parte al mondo artistico attoriale.

Esordisce alla regia nel 1957 con La parola ai giurati, una pellicola dai tantissimi riconoscimenti internazionali.

I suoi film hanno sempre riscontrato molto successo, e nella sua carriera ha diretto moltissime star di Hollywood come Marlon Brando, Katharine Hepburn, Al Pacino agli inizi della sua carriera,  Ingrid Bergman, Lauren Bacall, Paul Newman e due grandissimi attrici italiane: Sophia Loren in Quel tipo di donna (1959) e Anna Magnani in Pelle di serpente (1960).

Un altro film doveroso da citare di Lumet è Quinto potere (1976), quattro premi Oscar vinti su dieci candidature, una graffiante satira al sistema televisivo americano degli anni Settanta e agli effetti negli spettatori. Il film fu capace di anticipare alcuni aspetti della società contemporanea, come la proliferazione dei reality show. 

Nel 2005 Lumet vince l’Oscar alla carriera e nel 2011 si spegne a New York.La parola ai giurati

La parola ai giurati

La parola ai giurati nasce come un film per la televisione. Il soggetto, risalente al 1954, e la sceneggiatura sono di Reginald Roseil titolo in inglese è Twelve Angry Men. 

Il film fu candidato agli Oscar come miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura non originale e ricevette quattro nomination ai Golden Globe. La parola ai giurati, comunque, vince due Nastri d’argento e l’Orso d’oro al Festival di Berlino.

La particolarità di questo film risiede non solo nella messa in scena, prevalentemente un unico set, ma affronta temi come il razzismo e la violazione dei diritti civili.

Il film riuscì a non passare inosservato nonostante il deludente botteghino, dovuto ai film in sala a colori e in formato panoramico.

La trama

New York, è in corso un processo di primo grado per omicidio. Il voto deve essere unanime e in caso di colpevolezza, la pena è la sedia elettrica.

La giuria si ritira per deliberare, da qui inizia la loro reclusione per tutto il film, eccetto il bagno, in un unica stanza. Identificati come numeri, solo di due giurati sapremo i nomi; anche se nella versione italiana scopriamo anche l’identità del giurato numero 6 che, nel voice over, mentre firma un foglio dice di chiamarsi Scott.

Nella prima votazione 11 giurati sono d’accordo sulla colpevolezza del ragazzo imputato, eccetto il numero 8 Davis (Henry Fonda). Nonostante le prove siano schiaccianti lui ha un dubbio e lo dichiara innocente.

A sostegno del giurato numero 8, in una seconda votazione, subentra il giurato numero 9 McCardle (Joseph Sweeney), essendo questa un verdetto di vita o di morte.

I giurati quindi approfondiscono l’esaminazione delle prove “schiaccianti” sul caso, arrivando a ribaltare completamente il giudizio iniziale di colpevolezza in assoluzione dell’imputato.

Una produzione con i fiocchi

Come già detto, La parola ai giurati, nasce per il piccolo schermo nel 1954. Nel 1957 il progetto viene affidato a Henry Fonda e Reginald Roseper l’unica volta nella loro carriera, in veste di produttori con un budget di 340.000 dollari.

Il regista esordiente Sidney Lumet terminò le riprese in soli 17 giorni. Complice anche il direttore della fotografia Boris KaufmanLumet riesce a restituire un senso di claustrofobia allo spettatore. Lo fa grazie a un bianco e nero soffocante e il magistrale controllo della profondità di campo che avviene durante il film.

Nella prima parte la macchina da presa è posta sopra lo sguardo dei personaggi e con lenti grandangolari, in questo modo siamo distaccati da loro. Con il progredire della storia, fino alla fine, entriamo sempre di più in empatia con i giurati. L’inquadratura si avvicina fino ad ottenere dei primi piani, fino ad avere un angolo più basso rispetto allo sguardo e altri obiettivi.

La parola ai giurati ha dato vita a tante altre produzioni teatrali, fra cui anche in Italia sotto la direzione di Alessandro Gassmann nella stagione 1009/10, ed è entrato a far parte della cultura pop.

Moltissimi altri hanno omaggiato il film di Lumet: nel 1997 William Friedkin ha diretto il remake La parola ai giuratima la maggior parte dei rifacimenti li troviamo in amatissime serie televisive come Happy Days, I Simpson, I Griffin La signora in giallo per citarne alcuni.

Conclusioni di La parola ai giurati

La parola ai giurati è un film in cui i pregiudizi e la fretta cedono il passo all’attenzione e allo scrupolo di giudicare con coscienza della vita di un uomo, in nome di quel garantismo in un’aula di tribunale come nella vita.

Una pellicola capace di intrattenere ed insegnare a tutte le epoche. Vediamo quanto il teatro abbia formato un regista come Lumet, capace di inscenare le dinamiche di 12 persone concentrate in un unico spazio.

Questa è la magia del teatro, che ci permettere di esplorare i paesaggi degli esseri umani rimanendo nel qui e ora, questa è la bravura di un regista come Sidney Lumet. Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema