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Le interviste: Federico Mauro. Foto di Giulia Bucelli.

Le interviste – Federico Mauro: “Il mio mito? Dario Argento”

Per Almanacco Cinema abbiamo incontrato Federico Mauro, direttore creativo di una delle agenzie italiane che realizzano poster cinematografici e trailer: la Vertigo Film.

Federico Mauro lavora in un ufficio che sarebbe il sogno di qualsiasi cinefilo che si rispetti: un florilegio di ciak originali, action figures di film horror, videocamere e, naturalmente, di poster cinematografici.

Un cimelio dall'ufficio romano di Federico Mauro: un ciak originale di Dogman di Matteo Garrone

Perché è proprio di questo, e di creatività legate ai film di prossima uscita, che si occupa Mauro, originario di Avellino. Pur non facendo parte delle maestranze cinematografiche strettamente dette, è tra coloro che concorrono a dare sostanza al sogno del cinema.

E con le sue immagini, statiche e in movimento, interpreta quell’immaginario che i registi cercano di comunicare al pubblico, amplificandone la potenza e contribuendo a far entrare il film nell’immaginario collettivo.

Lo ringraziamo per la sua disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato.

L’intervista a Federico Mauro (Vertigo)

Raccontaci in cosa consiste il tuo lavoro di Creative Director nella realizzazione di manifesti cinematografici.

“In Vertigo sono il responsabile di tutti i materiali che produciamo: poster, trailer, campagne social, digital PR. Coordino e seguo tutto il flusso della realizzazione, e nel caso dei poster c’è un team di creativi che dirigo che direttamente le creatività.

Mi capita di curare anche i rapporti con i clienti: produttori, distributori e, a volte, anche registi”.

Com’è iniziata l’avventura di Vertigo?
“Inizialmente eravamo in tre, quindi i poster li facevo tutti io. Poi, nel momento in cui la richiesta di lavoro è aumentata e parallelamente abbiamo iniziato a occuparci di più cose, io mi sono dedicato anche ad altro e abbiamo incamerato altre professionalità, più giovani, insieme alle quali crescere”.

Ti ricordi qual è stato il primissimo film del quale hai realizzato il poster?
“Era un piccolo film distribuito da Fandango, si chiamava Francesca (2009), era andato a Venezia ed era stato contestato perché uno dei protagonisti diceva ‘Quella stronza della Mussolini’, e la frase destò una grande eco mediatica. Per quel film fui incaricato da Gianluca Pignataro, direttore marketing di Fandango, con cui già collaboravo da esterno sulla parte web. Io nasco come web designer. Feci un primo esperimento con pochissime foto.

Il poster che generò la svolta fu quello realizzato per La passione di Carlo Mazzacurati (2010), in concorso a Cannes: quello fu il primo approccio al cinema italiano. Un film per il quale dovetti realizzare da zero tutto. Non mi piace particolarmente, ma all’epoca era piaciuto. Avevo scelto io il font, l’impaginato, l’idea di legarlo agli altri attori, e questa foto di Silvio Orlando con un taglio più ampio, in cui sembrava che lui si piegasse”.

Il primo poster ufficiale realizzato da Federico Mauro: quello de La passione di Carlo Mazzacurati

Puoi raccontarci la storia di lavorazione di questo primo poster?
“Già lavoravo con Fandango, e ogni tanto Pignataro mi faceva fare gli adattamenti oppure i poster solo dei film in distribuzione. Questo film era stato affidato a un’agenzia, che stava lavorando da settimane mandando proposte che, però, non convincevano nè Fandango né Domenico Procacci, al quale piace molto scegliere i poster.

C’era un clima di grande tensione, al che io mi proposi di fare una prova. Gianluca mi disse: ‘Guarda che c’è poco tempo, perché nel pomeriggio devo andare a consegnare’. Io mi feci dare le foto e buttai giù un’idea. Poi andai su da Domenico: lui mise i poster sul pavimento, erano davvero tanti. A un certo punto lo vidi illuminarsi e dire ‘Ecco, finalmente abbiamo trovato il poster!’. Io e Gianluca ci mettemmo a ridere e gli svelammo che il poster che gli piaceva lo avevo fatto io”.

Come hai iniziato a fare i poster? Hai seguito un percorso di formazione specifico?

“Tutto da autodidatta. Non ho mai fatto corsi di grafica, però sono sempre stato molto appassionato di computer, alla creatività, al montaggio. Gli orizzonti, per chi come me da bambino voleva fare il regista, erano Photoshop e Premiére.

Non ho mai pensato di mettermi a fare il grafico, è stata una cosa che è venuta, e che mi ha permesso di coniugare due mie passioni: il cinema, che più che una passione era un’ossessione, e la grafica. Io ho imparato su YouTube con i tutorial, con esercitazioni continue. Anche quando mi esercitavo, mi sono accorto che inconsciamente utilizzavo sempre immagini legate al cinema”.

Mi dicevi che da bambino volevi diventare un regista. Quali sono stati i tuoi registi di riferimento?

“Il mio mito d’infanzia era Dario Argento. Tutti i miei amici avevano il mito dei calciatori, io avevo lui. Fino ai primi anni Novanta i suoi film hanno avuto anche un enorme successo commerciale. Mi sono laureato con una tesi su di lui, che ha accompagnato tutto il mio innamoramento del cinema”.

Ti è poi capitato di realizzare il poster di un film di Dario Argento?

“La vita, a volte, riserva belle sorprese. Io lo avevo già incontrato diverse volte per motivi di studio poi, grazie al lavoro che facevamo in Vertigo, si è presentata l’opportunità. È successo nel periodo post-Covid: il cerchio si è chiuso con la realizzazione del poster di Occhiali neri“.

Il poster di Occhiali neri, disegnato dalla Vertigo di Federico Mauro

Di quale film horror ti sarebbe piaciuto realizzare una locandina?

“Ce ne sono tanti. Profondo rosso è il film che mi ha cambiato la vita. Mi ha terrorizzato ma mi ha impartito anche una grande lezione su quello che può fare il cinema: controllarti e condizionare le tue emozioni in modo potente. Tutto riconduceva a un discorso di potere: spaventare, non essere spaventati. Infatti poi ho terrorizzato la maggior parte dei miei cugini e compagni di classe (ride).

Per me l’horror è la quintessenza del cinema, è il genere metafilmico per eccellenza e ha legami fortissimi con l’inconscio. Tornando a Profondo Rosso, è il film che è stato più importante per me, quello che ho visto più volte”.

Un film è le sue immagini: quanto Dario Argento c’è nelle immagini dei suoi film?

“Senza nulla togliere ai direttori della fotografia, Dario Argento ha una grande influenza in tal senso. Non a caso era uno dei pochi registi che cambiavano direttori della fotografia a ogni film.

Per quanto raccontasse quasi sempre la stessa storia, gli piaceva molto confezionare il film ogni volta in maniera totalmente diversa. Lo reputo comunque un autentico maestro perché è stato uno di quelli che ha dato corpo e sguardo alla macchina da presa. Ci sono intere sequenze in cui lui restituisce un’identità alla macchina, sia con le soggettive che con inquadrature ai limiti dell’astratto. Poi inserire la musica pop e il rock progressive in un contesto al quale andava abbinata una musica più classica è stata una scelta rivoluzionaria.

Il cinema di Dario Argento e di Sergio Leone, oltre ad aver influenzato cineasti in tutto il mondo, è apprezzato anche dagli spettatori più giovani”.

La locandina autografata di un film del regista preferito di Federico Mauro: Dario Argento

Parlando di horror all’italiana più in generale: cosa ne pensi del cinema di Pupi Avati?

“Non sono avatiano, sebbene il regista abbia senz’altro prodotto film preziosi nel panorama italiano, soprattutto La casa delle finestre che ridono o Zeder, che tra l’altro ha quasi anticipato Cimitero vivente di Stephen King. Devo essere sincero, però: da spettatore che ama rivedere i film più volte, quelli di Dario Argento sono invecchiati meglio”.

Tornando a Dario Argento, qual è il suo film che preferisci?

“Il film del cuore è sempre Profondo Rosso, mentre il film che indubbiamente è più compiuto è Suspiria“.

Ti è piaciuto il remake di Guadagnino?

“Mi è piaciuto molto, però non ho capito perché lo abbia chiamato Suspiria, dal momento che con il film originale non ha nulla a che vedere. Mi è sembrata un’operazione molto interessante di rivisitazione sul tema. Fino al finale, che secondo me è un po’ eccessivo e poco a fuoco.

Secondo me i capolavori non vanno toccati, ma molti capolavori sono remake: pensiamo a Scarface di De Palma o a La cosa di Carpenter“.

Il poster di Crimes of the Future realizzato da Federico Mauro e Vertigo

Mi pare di capire che tu abbia una particolare passione per il cinema anni Ottanta…

“Sono stato uno spettatore onnivoro, da sala cinematografica e non solo da vhs, e ho amato tutti i film degli anni Ottanta, in particolare gli horror. Di tutti quei film mi sarebbe piaciuto realizzare i poster.

Per Cronenberg sono riuscito a lavorare per Crimes of the Future, un film che non ho amato molto da spettatore. Lucky Red Italia ci chiese di realizzare alcuni poster alternativi: ne facemmo uno che IndieWire mise nell’elenco dei 10 poster più belli dell’anno. Un bel riconoscimento”

La vostra agenzia riceve commesse anche dall’estero?

“Dipende. Per l’ultimo film di Wim Wenders, Perfect Days, abbiamo realizzato il trailer direttamente con Wenders, non per il mercato italiano. Questo grazie a Match Factory, il suo produttore internazionale, che ci ha incaricati di prepararlo durante i passaggi ai festival. In generale, l’approccio è diverso a seconda dei film e del mercato”.

Mi fai il nome di qualche film il cui poster funziona indipendentemente dal mercato di riferimento? 

“Ce ne sono tanti. Per esempio quello de Il padrino, o di Quei bravi ragazzi, o Titanic. Poi, se parliamo dei poster fatti da Renato Casaro, ho l’imbarazzo della scelta. Per me il poster che ha fatto per Il té nel deserto di Bertolucci è uno dei più belli che siano mai stati fatti. Anche questo di Opera è fantastico, perché crea un volto. Ed è tutto dipinto, tra l’altro, senza usare elementi fotografici. Ogni tanto c’è un ritorno all’illustrazione, ma il pubblico oggi non è abituato a codificarla”.

Secondo te oggi, nel concepire i poster, si punta di più sul marketing che sull’artigianalità?

“Per me sono due stili, due sensibilità diverse. Inevitabile parlare di marketing: il film era ed è un prodotto industriale che costa un sacco di soldi. Chi fa questo lavoro deve sempre coniugare due anime: deve rispettare il film, coglierne la sensibilità, operare una scelta. Questa scelta è un compromesso tra il racconto e l’appeal commerciale. È ovvio che se hai un attore famoso, non mettere il suo volto è una scelta che può premiare un’idea creativa ma penalizzarne un’altra”.

Quanti poster realizzate, di solito, per un film?

“Dipende. Per alcuni film abbiamo fatto 50-100 poster, per altri 3. Dipende da quante foto abbiamo, dipende dal brief, dipende dalle richieste del regista: non c’è né una regola né un modello”.

Federico Mauro nel suo ufficio. Foto di Giulia Bucelli
Federico Mauro. Foto di Giulia Bucelli

Prima citavi Procacci: hai dei committenti molto esigenti?

Ci sono registi molto esigenti, la cui esigenza è finalizzata a migliorare il prodotto: ad esempio, quando si lavora con Matteo Garrone, Gabriele Mainetti, con Matteo Rovere, con Paolo Sorrentino, ma anche con Gianni Amelio, loro sono persone persone molto interessati al poster e al trailer. Per questo partecipano con molto rigore e puntiglio alle scelte, quindi a volte capita che per questi registi lavoriamo per mesi e mesi. A volte capita che il poster venga fuori in una settimana, e va bene così. Ad esempio, il poster di Parthenope l’ abbiamo realizzato in un tempo ridotto, ma a volte il limite temporale stimola la creatività. Il poco tempo non mi spaventa.

A volte capita che, malgrado molte prove, il poster buono non esca. A volte perché non lo becchiamo noi, a volte perché il cliente su dieci proposte sceglie l’unica che a noi non piaceva, cosa che capita piuttosto spesso“.

Qual è il film per il quale è stato più difficile in assoluto produrre un poster?

“Quando abbiamo lavorato a Freaks Out di Mainetti, un film che abbiamo amato molto e che era pieno di suggestioni, facevamo fatica a trovare un poster che fosse una sintesi del film. Abbiamo fatto diversi artwork, creatività alternative per la campagna social. Anche con Parthenope è andata così: bisognava trovare una chiave nuova. Quell’immagine non c’è nel film, quindi è totalmente grafica, astratta. Però Paolo (Sorrentino, ndr.) che ha un approccio totalmente “laico” l’ha reputata affine e pertinente anche se non apparteneva al film.

È interessante quando, nel nostro lavoro, non ci limitiamo solo a elaborare le immagini del film, ma riusciamo a dare una nostra personale suggestione, che lavora anche con materiali totalmente diversi. In tal senso, uno dei poster di cui io sono più soddisfatto è quello realizzato per Esterno notte di Bellocchio.

Per me è un’idea geniale determinata dalla difficoltà, perché le foto di scena ci facevano creare poster che a noi non piacevano. C’erano delle belle foto con GifuniAldo Moro, ma ci si ricollegava sempre a un immaginario già esplorato, a volte abusato. Alla fine abbiamo reinterpretato il simbolo della Democrazia Cristiana con le rose e la corona di spine: quando Bellocchio lo ha visto gli è piaciuto subito”.

Esterno notte di Marco Bellocchio


Quando vi commissionano un film, voi lo vedete prima di realizzare poster e trailer?

“Cambia ad ogni film. A volte ci chiedono di lavorare a un’idea di poster già in fase di sceneggiatura, in modo tale che durante il set possiamo fare riprese e scatti. A volte lavoriamo durante le riprese, mentre altre volte vediamo il film finito, oppure non lo vediamo. Parthenope lo avevo visto in fase di pre-montaggio”.

Qual è la tua modalità di lavoro preferita? Preferisci aver visto il film?

“Decisamente. Nel momento di visione del film cambia tutto: leggere una scena è diverso dal vederla, quindi non hai idea di come viene illuminata, delle emozioni che ti trasmette. Per me la prova del nove è sempre post-visione film: nemmeno film finito, ma in una fase provvisoria di montaggio, perché mi riporta a una dimensione di spettatore, che fa parte della mia pratica creativa”.

Il poster di Una storia nera, realizzato da Federico Mauro e Vertigo

Hai realizzato anche il poster di Una storia nera, vedo. Da dove nasce la scelta di rappresentare così Laetitia Casta?

“È una donna che da un lato si nasconde e, allo stesso tempo, nasconde qualcosa. Che cosa sta facendo? Si sta nascondendo perché ha fatto qualcosa o da qualcosa?”.

E Gloria di Margherita Vicario?

“Per questo film abbiamo fatto diverse proposte, su questo tema della musicalità, del contesto storico, della dimensione sessuale che è un elemento molto sublimato. La natura ambigua delle immagini è un’altra mia grande ossessione”.

Il poster di Gloria! di Margherita Vicario, realizzato da Federico Mauro e Vertigo
E questo di Dostoevskij, la serie dei fratelli D’Innocenzo?

Sky ha i reparti creativi interni, ma io ho fatto i poster di tutti i film dei fratelli D’Innocenzo. Per la presentazione a Berlino e per l’uscita ci hanno chiamato e ci hanno chiesto di realizzare un poster un po’ più astratto, che si differenziasse dallo sfruttamento televisivo. Abbiamo visto la serie, che è molto bella, e abbiamo provato a raccontarla sulla base delle loro indicazioni. Visto che la serie parla di un serial killer che quando uccide lascia lettere scritte di suo pugno, l’idea era quella di rappresentare il profilo del poliziotto che dà la caccia al serial killer, Filippo Timi, costruito con le lettere”.

Nuovo Olimpo?

“Erano 3-4 frame diversi che noi abbiamo messo insieme, abbiamo ricostruito la luce del proiettore e abbiamo ottenuto quest’immagine”.

Dei film dei quali hai realizzato recentemente i poster, qual è quello che ti ha dati più soddisfazione?

“Per esempio Comandante è stato una scelta felice. Inizialmente, la distribuzione aveva affidato a un’altra agenzia il poster. Doveva esserci la guerra ma non si trattava di un film di guerra, quindi abbiamo ricostruito tutto, abbiamo applicato colori caldi, uscendo dalla logica dei colori freddi e della guerra, e trovando questa foto, dove c’è l’abbraccio, la salvezza. Questa è una foto di scena, ma la difficoltà è stato far quadrare tutto: l’abbraccio, lo sguardo molto rassicurante, in un contesto molto dinamico”.

Chiudiamo la carrellata con Rapito.

“L’idea di tagliare il volto… sono un fan di questo espediente. Abbiamo dato risalto alla dimensione del bambino braccato, rimanendo alla sua altezza, con lui che ci guarda. C’è stato anche un bel lavoro di post-produzione, per dargli un effetto quasi dipinto”.

Un dettaglio del poster realizzato da Federico Mauro e Vertigo per Rapito di Marco Bellocchio