Skip to content Skip to footer
Mine Vaganti, la recensione su Almanacco Cinema

Mine Vaganti, vietato “normalizzarsi”

Quattordici anni fa usciva nelle sale italiane Mine Vaganti. In occasione del Pride Month Almanacco Cinema propone la recensione del film di Ferzan Özpetek.

Ferzan Özpetek con Mine Vaganti affronta il tema dell’omosessualità da una prospettiva abbastanza comune nella cinematografia queer: il coming out. Lo fa, però, con una trama che regala da subito un colpo di scena e che mantiene viva l’attenzione dello spettatore fino alla fine.

Fu presentato fuori concorso alla Berlinale nel 2010 e al Tribeca Film Festival, dove vinse il Premio Speciale della Giuria. Mine Vaganti, inoltre, ebbe una grande distribuzione internazionale (in oltre venti paesi) e fu accolto ottimamente anche dal pubblico in sala.

Mine Vaganti, la trama

Tommaso (Riccardo Scamarcio) è un giovane aspirante scrittore che da diversi anni vive a Roma. Fidanzato stabilmente con Marco (Carmine Recano) ha sempre nascosto alla sua famiglia la sua omosessualità e non solo. Stefania (Lunetta Savino) e Vincenzo (Ennio Fantastichini), i suoi genitori, sono convinti che stia studiando economia, mentre lui è ormai laureato in Lettere.

Torna nella sua città d’origine, la calda e luminosissima Lecce, intenzionato a uscire finalmente allo scoperto. Il padre, infatti, che possiede da generazioni un noto pastificio, vuole farlo socio. Tommaso, però, non vuole rinunciare alla sua vita né legarsi all’azienda di famiglia. Così, inizia confessandosi al fratello maggiore Antonio (Alessandro Preziosi). Tommaso è convinto che tale notizia renderà suo padre furibondo. L’uomo lo caccerà di casa e lui sarà certamente libero.

Mine Vaganti, la recensione su Almanacco Cinema

Arriva il momento della cena. La famiglia Cantone è riunita. Ci sono i genitori, la nonna (Ilaria Occhini), Zia Luciana(Elena Sofia Ricci), Antonio, sua sorella Elena (Bianca Nappi) e Salvatore (Massimiliano Gallo), suo marito. Ad arricchire la formalità della tavola un socio dell’azienda.

Tommaso prova a prendere la parola ma viene immediatamente interrotto da Antonio. Il primogenito, a sorpresa di tutti tranne della nonna, brucia sul tempo Tommaso confessando di essere gay. La notizia viene accolta esattamente come Tommaso si aspettava: una tragedia, un lutto, anzi forse all’apparenza anche peggio. Antonio viene malamente cacciato di casa, Vincenzo ha un infarto e, ripresosi, affida le redini dell’azienda a Tommaso.

Impossibilitato ormai a parlare, al ragazzo non resta che fermarsi a Lecce. Stringerà, durante la sua forzata permanenza, un legame particolare con l’ex socia del fratello, Alba (Nicole Grimaudo). Resistere e mantenere il segreto, però, sarà sempre più difficile.

La famiglia Cantone

Un tema del film è certamente la famiglia, nella sua complessità e nelle sue contraddizioni. Il primo pranzo dei Cantone, pur nella convivialità e nel benessere di una tavolata del Sud, fa trapelare già i primi segnali di allarme. Elena, unica figlia femmina, viene zittita non appena prova a esprimere il suo parere su come migliorare la fabbrica. Stefania, con autorità, controlla tanto la suocera quanto i bicchieri di vino della sorella.

La famiglia viene subito presentata come uno spazio che accoglie, ama, ma talvolta giudica, controlla, e condanna. Dopo la rivelazione di Antonio queste due facce convivono in Vincenzo e nel suo rapporto con Tommaso. L’uomo, padre padrone, adopera la più becera strategia di manipolazione: il ricatto emotivo. Con le lacrime agli occhi, sul lettino d’ospedale, dice a Tommaso quanto lo ama e gli chiede/impone di restare a Lecce.

La famiglia è, però, anche l’unità più piccola della società. In Mine Vaganti Stefania e Vincenzo nell’allontanare Antonio manifestano la loro repulsione verso qualcosa che non conoscono. Ma soprattutto, affrontano in modo maldestro l’incapacità di poter rispondere da quel momento in poi alle aspettative della società. Quando Antonietta, “amica” di Stefania, le dice malignamente che quando un figlio maschio si sposa è una benedizione, mette il dito proprio in quella piaga.

Il chiacchiericcio

Un altro fil rouge del film è il chiacchiericcio. Non il pettegolezzo curioso e innocuo, ma quel parlare accusatorio, giudizioso, distaccato e privo di empatia. Un parlottare sempre ipocrita che non si rifà mai a veri valori morali, ma al desiderio di colpire il prossimo.

Da un lato è un mormorio reale, come nello scambio che avviene tra Stefania e Antonietta. Dall’altro è un chiacchiericcio ipotizzato, percepito, che sta nella testa di chi si sente attaccabile.

Özpetek in una scena surreale in Piazza Sant’Oronzo rende in modo puntuale il sentimento di Vincenzo. Qualcuno lo sta guardando, forse sì, forse no, ma conta quello che lui percepisce. A ferirlo è l’essere sulla bocca di tutti, essere diventato il giullare di Lecce. Il focus, in sostanza, smette di essere l’omosessualità di Antonio. La colpa di quest’ultimo è quella di essere uscito allo scoperto.

“È più faticoso stare zitti che dire quello che si pensa”

Questa battuta viene pronunciata in Mine Vaganti inaspettatamente da Zia Luciana che, all’apparenza poco lucida, coglie il malessere di Tommaso. Il silenzio in cui Antonio si è chiuso per anni, tanto utile e auspicato dalla sua famiglia, lo ha logorato. Tommaso si avvia verso quella stessa auto repressione.

Mine Vaganti, però, non è soltanto un film sul coming out nella sua accezione comune. È un film sull’uscire fuori in tutti i sensi. Tommaso non solo deve condividere la sua omosessualità, ma deve avere il coraggio di ammettere di voler diventare uno scrittore. Deve uscire allo scoperto come essere umano, con sogni e aspirazioni che hanno una loro dignità, anche se non trovano l’approvazione degli altri.

Mine Vaganti, la recensione su Almanacco Cinema

Özpetek, in questo modo, con naturalezza universalizza la storia di Tommaso. Non sempre essere sé stessi è un atto naturale: a volte richiede lavoro personale e soprattutto coraggio. In questo senso il film ricorda un po’ l’illuminante monologo di Agrado in Tutto su mia madre di Pedro Almodovar. Bisogna imparare a mostrarsi per quello che si è, non assecondare ciò gli altri vogliono vedere: solo così si è davvero autentici.

Il personaggio “risolutore” della vicenda, la mina vagante che porta un caos rischiaratore, è la nonna. A un certo punto dice al nipote una frase che suona come un’esortazione, un ammonimento per il suo futuro. Gli dice: “Tommaso…se uno fa sempre quello che gli dicono gli altri, non vale la pena di vivere”.

Mine Vaganti, ambientazione e musiche

Ferzan Özpetek lascia le terrazze romane per la soleggiata e barocca Lecce. Per gli interni gira in una bellissima villa interamente arredata dal suo reparto scenografia, e nel pastificio Tandoi. La città, accogliente nei colori, diventa però un campo minato per la famiglia Cantone. A regalare uno scorcio di pura libertà è il mare di Gallipoli, in una scena ambientata a Punta della Suina.

La fotografia è luminosa, e indugia spesso sui primi piani di Tommaso e non solo. Riccardo Scamarcio rende molto bene attraverso il suo volto silente il conflitto interiore del protagonista. Nelle scene a tavola, un must per il regista turco, la macchina da presa gira intorno cogliendo espressioni e sguardi.

Ad accompagnare le immagini un variegato mix musicale che va dal pop italiano a quello turco. Ritroviamo una versione live di Pensiero Stupendo, usata in modo quasi didascalico ma efficace, e 50mila di Nina Zilli. Bellissimi anche gli inserti avvolgenti ed esotici del compositore napoletano Pasquale Catalano. Nel congedo del personaggio di Ilaria Occhini, in particolare, il suo valzer unito all’atmosfera della scena ricorda molto Caramel della regista libanese Nadine Labaki.

Mine Vaganti, la recensione su Almanacco Cinema

In conclusione

Ferzan Özpetek realizza un film dal buon ritmo. Se la prima parte è sostenuta in toto dalla trama e dal colpo di scena iniziale, alla seconda contribuisce l’arrivo degli amici da Roma. Il regista gioca con gli stereotipi, sfiora la farsa, ma bilancia in questo modo il commovente finale.

Inoltre, con l’incursione dei ragazzi regala un assaggio di quella libertà a cui Tommaso vuole ritornare. Il ballo al mare degli amici sulle note di Sorry, I’m a lady del duo Baccara strappa al ragazzo un sorriso imbarazzato ma spensierato. È il momento più vero del film che racconta, attraverso la gioia e l’orgoglio dei corpi, lo splendore di essere liberi.

Il film è uscito nel lontano 2010. Nonostante ciò, quello che Özpetek riesce a rendere commedia spesso nella realtà continua ad avere risvolti meno leggeri. Da questo punto di vista è un film che stenta a invecchiare proprio perché il suo messaggio continua ad avere valore.

La “normalizzazione” che Stefania, preoccupata, auspica per il figlio oltre che insensata è irrealizzabile. Quando si sperimenta la libertà di essere sé stessi, difficilmente si può tornare a nascondersi. L’accettazione, di sé stessi e dell’altro, è l’unica via percorribile. D’altronde “la terra non può voler male all’albero”.

 

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema